jueves, 18 de octubre de 2007

Povertà nel mondo ed azioni internazionali di contrasto

Alcuni dati di sintesi dall’UNDP report 2005.

Ogni ora muoiono 1.200 bambini a causa della povertà. Nel mondo le 500 persone più ricche hanno un reddito superiore a quello dei 416 milioni più poveri, ma proprio alcuni dei Paesi ricchi (Italia compresa) sono tra i donatori meno generosi. Il nuovo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), pubblicato oggi, rivela che in 18 Paesi del mondo - dodici nell’Africa sub-sahariana e sei nell'ex Unione Sovietica - attualmente si vive peggio che nel 1990, primo anno in cui fu elaborato l'Indice dello sviluppo umano (Isu), che va oltre il reddito pro capite e considera anche speranza di vita e livello di istruzione (Il Sole 24ore 7 sett. 05)

Globalmente per il quinto anno consecutivo, la Norvegia si aggiudica il primo posto nella classifica. Al secondo si piazza l'Islanda, seguita da Australia, Lussemburgo, Canada, Svizzera, Irlanda e Belgio. Gli Stati Uniti, ottavi nel 2004, arretrano alla decima posizione, davanti a Giappone, Olanda, Finlandia e Danimarca. La Gran Bretagna scende al 15° posto dal 12°, la Francia resta 16esima, mentre la Germania passa dalla 19esima alla 20esima posizione. L'Italia è quest'anno 18esima e guadagna tre posizioni. All'ultimo posto è confinato il Niger, dove la siccità e un'invasione di cavallette hanno distrutto i raccolti di quest'anno e 150mila bambini rischiano la morte per fame. In questo disperato Paese del Sahel il reddito pro capite raggiunge appena i 232 dollari l'anno, la speranza di vita alla nascita si ferma a 44 anni e l'alfabetizzazione tocca solo il 15% della popolazione. (Il Sole 24ore 7 sett. 05)

Alcuni strumenti di misura della povertà secondo il metodo UNDP

IPU - Indice di Povertà Umana: Indice messo a punto dall'UNDP (United Nations Development Programme) per misurare le deprivazioni nello sviluppo umano di base nelle tre dimensioni dell'ISU: longevità, conoscenza e standard di vita dignitoso (IPU-1). L'IPU per i paesi dell'OCSE (IPU-2) aggiunge, a quelle tre dimensioni, l'esclusione sociale.

ISG - Indice di Sviluppo di Genere: secondo la definizione contenuta nel Rapporto dell'UNDP (United Nations Development Programme), misura i risultati raggiunti nelle stesse tre dimensioni e variabili dell'ISU, ma sottolinea le ineguaglianze tra uomini e donne.

ISU - Indice di sviluppo umano: si concentra su tre dimensioni misurabili dello sviluppo umano: vivere una vita lunga e sana, essere istruiti e avere uno standard di vita dignitoso. L’ISU combina quindi le misure della speranza di vita, dell’iscrizione scolastica, dell’alfabetizzazione e del reddito per permettere una visione dello sviluppo di un paese più ampia di quella che si può ottenere dalla sola osservazione del reddito.






Rapporto UNDP 05

Rapporto UNDP 05



Rapporto UNDP 05

La misurazione della povertà secondo la Banca Mondiale


Un metodo usato per misurare la povertà è basato sul livello di reddito o di consumo.

Una persona è considerata povera, se il suo consumo o reddito è al di sotto di una soglia minima per soddisfare i suoi bisogni di base, ossia la cd. soglia di povertà.

I bisogni di base variano in funzione del luogo e del tempo di riferimento. Pertanto ogni governo definisce la soglia di povertà in rapporto ai propri livelli di sviluppo, normative e valori.

Le informazioni sui consumo/reddito sono ottenute attraverso indagini campionarie condotte regolarmente dalla maggior parte dei paesi.

Tuttavia, è necessario esprimere la misurazione nella stessa unità di misura nei vari paesi.

La WB traccia una soglia di povertà di 1$ e 2$ al giorno (più precisamente $1.08 e $2.15 in 1993 Purchasing Power Parity terms).

Nel 2001, 1.1 mld di persone ha avuto livelli di consumo <>

Si osserva, infatti, che esiste una soglia oltre la quale il tessuto sociale tende a disgregarsi e il “contratto sociale” che lega i cittadini alle istituzioni incomincia a deteriorarsi (Acocella et al. 2004) La stabilità sociale […] dipende non solo dalla percentuale dei poveri sulla popolazione, ma anche dal loro numero assoluto (Vercelli-Borghesi, 2005, p.43)

Nuovi orientamenti in termini di misurazione della povertà secondo la WB

Mentre molti progressi sono stati compiuti sul piano della misurazione e analisi della povertà in termini di reddito, sono necessari sforzi per studiare le molte altre dimensioni della povertà. Questo comporta raccogliere dati, studiarne le tendenze, identificando indicatori sociali di qualità per l’istruzione, la salute, l’accesso ai servizi ed alle infrastrutture. Comporta inoltre, la necessità di formulare nuovi indicatori per descrivere altre dimensioni della povertà, ad es. il rischio, la vulnerabilità, l’esclusione sociale, accesso al capitale sociale. Allo stesso tempo, devono essere esplorati altri modi per comparare un concetto multidimensionale di povertà quando può non essere significativo aggregare tutte le dimensioni in un solo indice.

Inoltre, è necessario integrare i dati provenienti da indagini campionarie con informazioni ottenute con tecniche di raccolta più partecipative.(web.wb.org)

Tendenze nella povertà

Gli standard di vita sono cresciuti fortemente negli ultimi decenni. La percentuale della popolazione dei pvs che vive in condizioni di povertà estrema (<1$/g)>

Ma sussistono forti disparità regionali: dal 1990 Bangladesh, Cina e Uganda hanno migliorato le loro posizioni di circa il 20 per cento. Un altro caso di successo è il Vietnam, che ha dimezzato la povertà di reddito dal 60% del 1990 al 32% del 2000 e nello stesso periodo ha ridotto la mortalità infantile dal 58 per mille al 42 per mille. L'Africa sub-sahariana è invece sempre più ai margini del mercato mondiale, nonostante un modesto aumento delle sue esportazioni. Oggi, con una popolazione di circa 690 milioni di persone, detiene una quota delle esportazioni mondiali inferiore a quella del Belgio, che ha dieci milioni di abitanti. .(Il Sole 24ore 7 sett. 05)

Si stima che se l’Africa avesse mantenuto la quota di esportazioni di cui godeva nel 1980, il guadagno in termini di commercio estero sarebbe di 8 volte il flusso totale degli aiuti elargiti dai Paesi ricchi nel 2003. (UNDP Report 05)

Nell’africa subsahariana la povertà è salita da 41 a 46% ta l’81 e il 2001 con 150 ml di persone in più cadute in povertà estrema.(web.wb.org)

Povertà e sviluppo sostenibile

Lo sviluppo è sostenibile se soddisfa le esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le loro esigenze (Rapporto Brundtland WCED, 1987, p 43)

L’idea forza di sviluppo sostenibile implica un impegno per l’equità sociale tra generazioni che per coerenza deve essere esteso all’equità nell’ambito di ogni generazione.

La condizione intergenerazionale di sostenibilità intende garantire che la libertà di scelta delle generazioni future non risulti compromessa dalla miopia decisionale delle generazioni precedenti(Chichilniski, 97; Vercelli 98)

E’ la cd condizione ambientale.

La condizione intragenerazionale di sostenibilità intende garantire pari opportunità a tutti i partecipanti alla competizione del mercato. (Vercelli – Borghesi, 2005)

E’ la cd condizione sociale.

La povertà può ostacolare gravemente l’accesso effettivo alle opportunità economiche. (ibid, 20)

Nella definizione di sviluppo sostenibile si integrano i principi etici di equità, libertà, uguaglianza e pari opportunità con i principi economici di efficienza del mercato. (cfr ibid)

Il conflitto tra etica ed economia emerge nella misura in cui, per una serie di fattori accentuati dalla globalizzazione, l’orizzonte temporale delle decisioni economiche risulta sempre più confinato al breve periodo, mettendo a repentaglio la sostenibilità dello sviluppo. (ibid, 21)

La povertà non è solo inaccettabile dal punto di vista etico, ma anche dal punto di vista economico in quanto comporta un colossale spreco di risorse potenziali, tanto più grave quanto più debole è la rete di protezione sociale. Purtroppo negli ultimi vent’anni si è verificato un diffuso indebolimento della rete di protezione sociale nella misura in cui lo smantellamento dello Stato sociale, la privatizzazione dell’istruzione e della sanità, la ricerca di una maggiore flessibilità del mercato del lavoro hanno ridotto l’accesso dei meno abbienti a molte opportunità economiche fondamentali. (ibid.43)

Come incide la globalizzazione

L’argomento a favore della globalizzazione è che a certe condizioni un mercato perfettamente concorrenziale genera un’allocazione ottimale delle risorse a cui corrisponde il massimo benessere sociale. Tuttavia esistono barriere sia alla circolazione di beni e servizi sia a quella del fattore (lavoro), mentre la liberalizzazione dei capitali ha avvantaggiato la speculazione a scapito dell’economia reale, aumentando l’instabilità finanziaria (cfr ibid. 51)

I paesi industrializzati, violando i principi del libero scambio, scaricano sui paesi in via di sviluppo costi stimati in 50 mld $ /anno, cioè una cifra quasi uguale al flusso complessivo di aiuti dall’estero (UNDP Report, 94 in Chomsky, 99, p140).

Il rapporto UNDP 2005 condanna quella che chiama una «tassazione iniqua», che fa sì che i Paesi più poveri del mondo siano penalizzati dalle tariffe più alte nei Paesi ricchi. I Paesi donatori spendono infatti un miliardo di dollari l’anno per aiutare l’agricoltura del Terzo mondo e un miliardo di dollari al giorno in sussidi all’agricoltura nazionale. L’effetto globale delle misure protezionistiche e dei sussidi in campo agricolo nei Paesi ricchi comporta un costo per quelli poveri di circa 72 miliardi di dollari l’anno, l’equivalente di tutti gli aiuti ufficiali elargiti nel 2003. Il cotone, ad esempio, rimane una delle questioni più scottanti del Doha Round: i dati del rapporto confermano le preoccupazioni dei governi africani e mostrano che i produttori Usa, grazie alle sovvenzioni, hanno conquistato circa un terzo di tutte le esportazioni mondiali, mentre nel Benin la caduta dei prezzi ha provocato un aumento della povertà dal 37% al 59 per cento.(Il Sole 24ore 7 sett. 05)

A peggiorare il problema c’è il fatto che dal 1980 a oggi il valore delle principali prodotti agricoli – e più di 50 Paesi in via di sviluppo dipendono dall’agricoltura per almeno un quarto dei proventi delle esportazioni – è sceso dal 15% al 10% sul totale degli scambi internazionali. Dal rapporto emerge, ad esempio, che alla fine degli anni 80 gli esportatori di caffè ottenevano proventi di circa 12 miliardi di dollari. Nel 2003, tuttavia, a fronte di un aumento delle esportazioni, le loro entrate si erano più che dimezzate raggiungendo solo 5,5 miliardi di dollari. Nel frattempo, però, il mercato del caffè nei Paesi ricchi è esploso: le vendite al dettaglio ammontano ora a 80 miliardi di dollari all’anno, dai 30 miliardi del 1990 e, con i bassi prezzi all’ingrosso e gli alti prezzi al consumo, gli utili dei sei maggiori torrefattori mondiali, che hanno in mano il 50%, del mercato si sono moltiplicati.(Il Sole 24ore 7 sett. 05).

Dicono gli autori del Rapporto che « per ogni dollaro di caffè Arabica venduto in un bar degli Stati Uniti, al produttore della Tanzania va meno di un centesimo». In Etiopia le esportazioni sono aumentate di due terzi dalla metà degli anni 90, ma i ricavi sono crollati e di conseguenza si è assottigliato il reddito delle famiglie che vivono coltivando caffè. Con i prezzi precipitati da un dollaro al chilo nel 1998 a trenta centesimi al chilo oggi, il rapporto stima che la diminuzione media del reddito delle famiglie in Etiopia sia di 200 dollari all’anno – una cifra enorme in un Paese in cui oltre un terzo della popolazione rurale vive con meno di un dollaro al giorno – con mancati ricavi per il Paese pari a 400 milioni di dollari, la metà degli aiuti internazionali ricevuti.. (Il Sole 24ore 7 sett. 05)

Povertà e disuguaglianza ecologica.

La concentrazione eccessiva di ricchezza nelle mani di pochi può risultare addirittura causa di povertà assoluta per molti, in un contesto di risorse naturali limitate ed ipersfruttate. La teoria dell’Impronta Ecologica (Wackernagel e Rees, 1996) permette di calcolare l’area di superficie terrestre utilizzata ogni anno per sostenere la maggior parte delle attività economiche ed in particolare dei consumi. Essa è costituita dalle terre emerse, 15 miliardi di ettari (Mld di ha), al netto di quelle improduttive (32%) e di una quota destinata alla tutela della biodivesità (12%) aumentata da una quota di mare destinata al consumo di prodotti ittici (2.9 mld di ha).

Dividendo per il numero di esseri umani attualmente presenti sulla Terra (ca. 6 miliardi), otteniamo un’area di circa 1,9 ha di terreno bio-produttivo pro-capite (p.c.) ciò che spetterebbe ad ogni essere umano per ricavare le risorse da destinare ai propri consumi e per assimilare i rifiuti che da essi derivano. (Cheli, 03)

Secondo i calcoli di Chambers et al. (2002), l’Impronta Ecologica media mondiale (cioè l’equivalente di risorse che ciascun abitante della Terra utilizza mediamente per i propri consumi annuali) ammonta a ca. 2,2 ha p.c. (dati riferiti al 2000) che risulta superiore al limite sopra indicato di 1,9 ha. Questo significa che ogni anno consumiamo collettivamente più risorse rinnovabili di quanto la natura sia in grado di rigenerare, il che è insostenibile nel lungo periodo.

Inoltre le Impronte Ecologiche dei vari paesi del mondo risultano estremamente differenziate: quelle medie dei Cinesi e degli Indiani (circa 1/3 della popolazione mondiale) risultano inferiori alla disponibilità media di risorse (i suddetti 1,9 ha p.c.), mentre quelle dei paesi più sviluppati la superano abbondantemente. Per fare due soli esempi, l’Impronta degli Italiani è di 4,2 ha p.c., mentre quella degli Statunitensi è di 9,6 ha p.c., pari a 5 volte la quota disponibile. Da questi risultati emerge chiaramente l’insostenibilità del modello di sviluppo dominante. Infatti, se pensassimo oggi di applicare lo stile di vita degli Statunitensi a tutti gli abitanti del mondo, occorrerebbero addirittura 5 pianeti Terra! (Cheli, 03)

Secondo stime recenti, dare acqua potabile a tutti richiederebbe un investimento di “appena” 110 miliardi di USD. Considerazioni simili si possono applicare anche ai contributi pubblici all’industria del petrolio (circa 200 miliardi di USD all’anno) che ostacolano lo sviluppo delle tecnologie basate sulle fonti rinnovabili di energia, per non parlare poi della spesa mondiale per armamenti alla quale i soli Stati Uniti hanno contribuito nel 2002 con 350,7 miliardi di USD (fonte: AltrEconomia n. 35, gennaio 2003).

Obiettivi del Millennio (Millennium Development Goals - MDGs)

Nel settembre del 2000, con l’approvazione unanime della Dichiarazione del Millennio, 189 Capi di Stato e di Governo hanno sottoscritto un patto globale tra paesi ricchi e paesi poveri durante un Vertice presso le Nazioni Unite. Dalla Dichiarazione del Millennio sono stati estrapolati 8 obiettivi che individuano un percorso verso un mondo piú giusto, piú sicuro e sostenibile entro il 2015:

1- Dimezzare la povertà assoluta e la fame nel mondo
2- Assicurare l’istruzione elementare per tutti
3- Eliminare le discriminazioni di genere nell'istruzione primaria e secondaria preferibilmente entro il 2005, e a tutti i livelli entro il 2015
4- Ridurre di 2/3 la mortalità infantile sotto i 5 anni
5- Ridurre di 2/3 la mortalità materna al momento del parto
6- Fermare, con un'inversione di tendenza, la diffusione dell’HIV/AIDS e della malaria e altre principali malattie
7- Assicurare la sostenibilità ambientale: inserire i principi della sostenibilità nelle politiche; frenare la perdita delle risorse naturali; dimezzare il numero di persone che non hanno accesso all'acqua pulita e a condizioni igieniche dignitose
8- Sviluppare un partenariato globale per lo sviluppo

Piano d’Azione per Combattere la Povertà

(COMUNICATO STAMPA RUNIC Bruxelles, Lunedì 17 gennaio 2005)

E’ stato presentato al SG ONU un pacchetto di misure economicamente efficienti per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Millennio, per dimezzare la povertà estrema e migliorare radicalmente la vita di almeno un miliardo di persone nei Paesi in via di sviluppo (PVS) entro il 2015.

Un piano pratico: Nel 2000, i capi di Stato e di governo mondiali si sono riuniti alle Nazioni Unite e si sono accordati per dimezzare la povertà estrema entro il 2015. L’indagine del progetto mostra non solo che questo è un obiettivo ancora raggiungibile, ma ne indica anche in dettaglio le modalità tecniche.

Accessibile: Nel corso del primo esercizio contabile di questo genere, gli esperti del Progetto concludono che gli Obiettivi possono essere raggiunti con un investimento pari alla metà dell’un percento dei redditi dei Paesi industrializzati – ben sotto la soglia degli obiettivi di aiuto internazionale che i Paesi benestanti hanno già promesso di raggiungere.

“Rapidi successi”: Paesi sviluppati e PVS dovrebbero immediatamente adottare una serie di azioni a “rapido successo” che potrebbero salvare milioni di vite ad un costo modesto, dall’offerta di pasti gratuiti nelle scuole e piccoli generatori diesel o generatori ad energia solare per ospedali e scuole, agli antiretrovirali per l’AIDS e reti da letto antimalaria da 5 dollari

Il rapporto necessita l’accurato monitoraggio da parte del sistema internazionale di sviluppo, che si è troppo spesso dimostrato inefficiente e sfocato. Le ricerche condotte nell’ambito del Progetto dimostrano come solo 30 centesimi di ogni dollaro devoluto per gli aiuti internazionali raggiunge effettivamente i destinatari, e cioè i programmi di investimento nei Paesi più poveri affetti da fame, povertà ed altre malattie. Gli stessi esperti sostengono come, mettendo insieme gli aiuti e facendoli fruttare localmente e strategicamente, si otterrebbe un’assistenza più efficace e meno dispendiosa. Gli autori hanno calcolato che nei Paesi a basso reddito, solo il 24% degli aiuti bilaterali è attualmente disponibile per sostenere gli investimenti del Progetto di Sviluppo del Millennio, mentre per gli aiuti multilaterali si parla del 54%. Meglio, ma comunque non abbastanza.

I fautori del Progetto richiedono un “decennio di audaci azioni” secondo le seguenti linee guida:

  1. I PVS devono adottare strategie nazionali ambiziose per raggiungere gli Obiettivi, tra cui specifiche riforme politiche e dettagliate valutazioni degli investimenti necessari ed opzioni finanziarie.
  2. I Paesi ad alto reddito dovrebbero aprire i loro mercati alle esportazioni provenienti dai PVS e dovrebbero offrire assistenza agli Stati più poveri per incrementare la loro competitività attraverso investimenti ed infrastrutture, facilitazioni commerciali, scienza e tecnologie. Gli autori sollecitano il completamento dei Principi di Sviluppo di Doha entro il 2006.
  3. Gruppi regionali quali l’Unione Africana dovrebbero promuovere il commercio regionale ed il miglioramento delle infrastrutture transfrontaliere (strade, energia e telecomunicazioni), così come rafforzare la gestione ambientale: il Progetto ribadisce come i donatori dovrebbero stimolare gli investimenti in questi ed altri settori critici.
  4. Il Segretario Generale dovrebbe rafforzare il coordinamento tra le Agenzie dell’ONU per sostenere gli Obiettivi ad un livello sia internazionale che locale.
  5. Per raggiungere gli Obiettivi, l’aiuto proveniente dai Paesi industrializzati dovrebbe raggiungere lo 0,44% del loro Prodotto Interno Lordo (PIL) nel 2006 e lo 0,54% nel 2015, cioè meno dello 0,7%, somma riaffermata dai capi di Stato e di governo mondiali alla conferenza di Monterrey per la gestione degli aiuti finanziari per lo sviluppo tenutasi nel 2002.
  6. I calcoli del Progetto non includono molti settori che nei PVS necessitano assistenza e che al contempo sono esclusi dagli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, tra cui grandi progetti per il miglioramento delle infrastrutture, misure volte alla salvaguardia e all’arresto dei cambiamenti climatici, ricostruzione post conflitto, ed altre priorità geopolitiche. Gli autori del Progetto sollecitano le nazioni donatrici a fare, mantenere o accelerare gli impegni per realizzare gli Obiettivi a lungo termine, riaffermati a Monterrey nel 2002 e volti a raggiungere il tetto dello 0.7% del PIL per lo sviluppo internazionale nel 2015.
  7. In termini strettamente monetari, gli autori richiedono agli Stati con maggiori risorse di versare 135 miliardi di dollari per l’aiuto allo sviluppo nel 2006, e questo significa un incremento di 48 miliardi di dollari rispetto agli attuali impegni, pari al 5% dell’intera spesa militare. I fautori del Progetto raccomandano che il livello di aiuti annuale raggiunga i 195 miliardi di dollari annuali entro il 2015.
  8. Questo incremento dovrebbe comprendere un aumento dai 5 miliardi annuali iniziali ai 7 miliardi di dollari per promuovere scienza e tecnologia per i più poveri, concentrati su salute, agricoltura, energia, gestione ambientale e ricerca climatica.
  9. Il Progetto del Millennio delle Nazioni Unite sostiene la proposta della Gran Bretagna di istituire una nuova Agevolazione Finanziaria Internazionale (International Finance Facility-IFF), elevandola a proposta fondamentale per un determinante miglioramento delle finanze per lo sviluppo nel 2005. Volta a raddoppiare l’assistenza allo sviluppo da ora fino al 2015, la IFF potrebbe spostare i fondi dal mercato dei capitali emanando obbligazioni sottoscritte per impegni a lungo termine. Saranno tuttavia i donatori a gestire le loro collocazioni finanziarie. La questione chiave rimane la velocità con cui saranno rese disponibili nuove risorse.
Carlos Cáceres Valdebenito

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